Alessandro Capezzuoli è un tuttologo irritante e polemico con un’innata predispozione a occuparsi di cose inutili, di cui non importa niente a nessuno. Lo è da quell’afoso 14 luglio del 1973, giorno in cui è stato obbligato a nascere, nonostante la data storica fosse poco favorevole agli obblighi e alle costrizioni. Per questo, ha manifestato da subito la sua inclinazione alla rivoluzione, alla contestazione e alla ribellione, rifiutandosi con fermezza di uscire dall’utero materno, tanto da costringere l’ostetrica a usare una temibilissima ventosa che gli ha deformato il fiero e implume cranio a vita. Più che dei pochi successi, è orgoglioso dei numerosi fallimenti, collezionati con metodo e dedizione per più di mezzo secolo. Attualmente, dice di fare lo scrittore, ma non prenderei troppo sul serio questa affermazione, avendolo visto intraprendere, peraltro con insuccessi clamorosi, tutti i lavori possibili. Ha commerciato e riparato barche, affondando insieme a loro, e ha fatto il perito assicurativo, perendo di insofferenza nei confronti delle assicurazioni. Poi ha fatto il grafico, lo speaker radiofonico e il pubblicitario, per questo odia la pubblicità, voce sguaiata del capitalismo, e tutto ciò che suscita bisogni, desideri e dipendenze. Dopo una breve parentesi all’Istituto di Fisica Nucleare, è caduto nella fossa inospitale e deprimente della pubblica amministrazione, da cui è stato risucchiato, preso in trappola, ingabbiato e privato della libertà. Invece di piangersi addosso, si è rimboccato le maniche, si è circondato di amici speciali (gente come Platone, Nietzsche e Schopenhauer e dei come Dioniso, Apollo e Mnemosine, mica quelle pettegole da quattro soldi che si incontrano nei grigi corridoi degli uffici) e ha costruito un mondo fantastico dentro di sé, imparando a fregarsene altamente di ciò che accade fuori. Più che camminare lungo il viale dell’esistenza, si trascina faticosamente su una ripida creuza de mä , fingendo di aver imparato a sostenere la tragicità della vita, a tollerare la stupidità umana, e a destreggiarsi abilmente tra l’inadeguatezza, l’insofferenza e la consapevolezza che credersi superiori agli altri sia il peggiore dei difetti che un uomo possa avere. Ed è proprio questa umile consapevolezza ad avergli fatto maturare l’idea che gli inferiori da cui è circondato non sono in grado comprendere concetti banali alla portata degli organismi monocellulari. É un po’ filosofo e un po’ cialtrone, perché, all’occorrenza, bisogna saper fingere di essere seri o di essere buffoni, indossando la maschera adatta per ogni situazione. Se si potesse descrivere con un libro, potrebbe essere Dioniso, il dio della vita indistruttibile, o, forse, La nascita della tragedia dallo spirito della musica. A dire il vero, c’è anche Il mondo come volontà e rappresentazione (libro che ha fisso sul comodino da più di dieci anni). Ma c’è anche Genealogia della morale o… La sapienza greca, o, meglio, Ethica ordine geometrico demonstrata. Niente da fare, con i saggi non si può descrivere, meglio provare con la narrativa. È Furore, sì, Furore, o La notte di Lisbona, o, ancora, Il teatro di Sabbath. Oppure Il sole dei morenti, o, meglio, Oblomov… Stoner, sì, è Stoner… No, meglio lasciar perdere i libri e provare con la musica… Beh, potrebbe essere Il testamento di Tito, o forse Canzone di notte N.2, o Amore che vieni amore che vai, o La canzone del maggio… no, no, è Far finta di essere sani, anzi, no!, è la Locomotiva, o forse è L’animale di Battiato, perché è disagiato e incompreso come Schopenhauer. Ce l’ho: C’è solo la strada, di Gaber, perché ormai è disilluso e malinconico… ma, se dobbiamo tirare in ballo disillusioni e malinconie, allora potrebbe essere anche Luci a San Siro, perché è proprio così che è andata: le luci a San Siro, per lui, non si sono più accese. Meglio non pensarci, altrimenti mi deprimo al posto suo… Ammetto di trovarmi in difficoltà; non riesco a descrivere una persona che si laurea in fisica, ma odia dire “Sono un fisico”, perché pensa che sprecare la vita per diventare un banale mestiere sia di una noia e di una tristezza infinite. Quindi ha deciso di essere (heideggerianamente parlando) molto più di un fisico: è anche un filosofo che ama la narrativa, che fa il data scientist, che scrive libri e sceneggiature teatrali, che insegna scrittura creativa, che risolve problemi e beghe condominiali e, soprattutto, che si interroga sempre e, come il Suonatore Jones di Spoon River, in una nuvola di polvere vede un ballo di tanti anni fa. È pigro, dio se è pigro, ma va in montagna e in barca a vela. Ama la grecia antica e i miti, per questo gli piace raccontare storie e credere che il principio di conservazione dell’energia sia una specie di rito orfico che celebra il rinnovamento della vita e l’eterno ritorno dell’uguale. Alessandro è un ossimoro vivente, questa è la verità: dentro lui, segni di fuoco e l’acqua che li spegne… tanto per tornare a Battiato e tirare in ballo Apollo, Dioniso e la voluntas. Il suo pregio è che può parlare dell’equazione di Dirac e della ricetta della carbonara con la stessa disinvoltura, il suo difetto è che confonde abilmente l’una con l’altra. Come Kant, fa lunghissime passeggiate, durante le quali si sofferma a riflettere seriamente, così seriamente che, seguendo i suoi pensieri, è impossibile non fermarsi a pensare che i sorrisi, quelli veri, nascondono sempre profonde malinconie. Il tempo, i libri e la libertà sono le uniche ricchezze che possiede: non accumula soldi ma pensieri e riflessioni, non guarda la TV ma legge, non aspetta le occasioni perché preferisce crearle. Non è facile stargli dietro, è facilissimo stargli davanti ed è quasi impossibile stargli accanto. Cosa pensa dell’amore? È contraddittorio anche in questo. Da una parte sa benissimo come dovrebbe essere, dall’altra lo ha vissuto in tutte le sue stagioni e si è convinto che la gente non sia all’altezza della profondità dei sentimenti e confonda l’amore con il possesso, l’altruismo con l’egoismo e la philia con l’opportunismo. Eppure ama, eccome se ama! Ama profondamente tutto ciò che fa. Ama le idee, la cultura, l’arte, la vita, la libertà. L’anarchia. Ama oltre le paure, le invidie, le gelosie, la disperazione, la solitudine e la morte. Disgusta il potere in tutte le sue forme meschine e disprezza qualsiasi uomo desideri sottometterne un altro: per questo vive alla continua ricerca di solitudini, di spazi aperti e di persone realmente libere. Usa qualsiasi mezzo per sfuggire ai doveri imposti, anche perché sa darsi delle regole molto più efficaci di quelle imposte da altri. Non sopporta le masse, i riti, i culi bianchi sotto al sole d’agosto, le morali, il paddle, il senso comune, il priapismo motoristico e le persone dal pensiero omologato, che, a forza di parlare di calcio, di sesso e di banalità, non hanno niente di interessante da dire. Odia il consumo, le mode, il profitto e tutti i falsi miti imposti da quel capitalismo malato e disumano che piace tanto ai borghesi. Se la borghesia lo ripugna, cosa dire della felicità a comando delle ricorrenze, dei riti collettivi, delle chiacchiere pettegole alle macchinette del caffè e del senso del dovere? Meglio tacere, per evitare di farlo querelare.
Cerca la verità e trova bugie. Cerca bugie e trova verità. È vita, questa? Se non fosse così testardo, gli consiglierei di smettere di farsi domande: allora sì che troverebbe un po’ di pace! Ma, se non fosse così ossessionato dalle domande, se non fosse così curioso, così affamato di conoscenza, che uomo sarebbe? Sarebbe un uomo qualunque, uno dei tanti, uno di quei noiosissimi personaggi perbenisti, mortalmente noiosi, che non conoscono la misura della propria inutilità.


