Il 137 è un autobus che fa parte dell’arredo urbano. Ormai ha passato abbondantemente la trentina, come gli alberi striminziti che sono stati piantati nella piazzetta del capolinea e non sono mai cresciuti. Tommaso, invece, è cresciuto anche troppo. Ogni giorno che Cristo ha fatto, con la pioggia, la neve o il sole, alle 7:03, li trovi entrambi là, con una meta da raggiungere. Una meta di cui non frega più niente a nessuno dei due. Eppure non è stato sempre così: il 137 collega la periferia al centro e ha avuto un passato glorioso. Si sa come sono i romani: riescono a umanizzare sempre tutto, anche le cose. Er tutta callara, l’avevano soprannominato così. Qualunque fosse l’autista a guidarlo, la prima discesa, per tradizione, andava affrontata a tutta velocità. A tutta callara, per l’esattezza. Il passato di Tommaso, invece, non era stato così glorioso. Nonostante sia nato e cresciuto in quel quartiere, la gente lo riconosce tuttora a malapena e, soprattutto, non gli ha mai dato nessun soprannome. Certe volte è più facile affezionarsi alle cose che non alle persone. Aveva pochi amici, qualche flirt insignificante e si era ampiamente rassegnato a finire i suoi giorni così, consumando il tempo tra la casa, l’ufficio e le faccende da sbrigare. Come se quello fosse tutto. Come se niente fosse tutto. Facendo finta di essere uguale agli altri. Come Er tutta callara, un autobus tra i tanti, ma che almeno aveva un soprannome tutto suo.
Così, una mattina dopo l’altra, ruggine e rughe avevano fatto la loro comparsa. Il passo di Tommaso era diventato meno veloce e Er tutta callara arrancava ogni giorno di più sulla salita che era obbligato a percorrere per tornare al capolinea.
– Hai saputo la notizia? Lo mandano in pensione…
– Stai a scherzà? Er tutta callara nun se tocca!
– Nessuno scherzo: dal primo marzo la linea è soppressa. Hanno aperto la nuova fermata della metro e c’è bisogno di ottimizzare le corse.
Per fare la rivoluzione, basta togliere alla gente le abitudini. E visto che l’uomo riesce ad abituarsi a tutto, alla fine si abitua anche alle rivoluzioni. La prima cosa a cui pensò Tommaso, dopo aver ascoltato quella breve conversazione, fu di aver perso un amico. Un lutto. Da lì a poco avrebbe dovuto stravolgere le sue abitudini. Avrebbe smesso di sbuffare al ritmo dei colpi mancati dal motore a gasolio del 137. Certo, avrebbe preso la metro, ma non sarebbe stata la stessa cosa. Fu assalito da quella sensazione angosciante di chi ha capito di aver perso la battaglia contro il tempo, dopo aver creduto di poterlo fermare con la gioventù. E allora decise in quell’istante di fermarsi, pianificando con precisione come, dove e quando. Perché su quell’autobus, in un giorno come tanti, tra la gente che saliva e scendeva, lui il tempo era riuscito a fermarlo sulle labbra di Viola. Lei non c’era più, lui non c’era più, entrambi si erano persi. Ma quel bacio era ancora là, a fermare il tempo come tanti anni prima.
Alessandro Capezzuoli