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Come difendersi dal relativismo scientifico e da un dio che gioca a dadi con l’universo.

Posted on 18 Settembre 2021 by admin

Dio non gioca a dadi con l’universo. Questa frase, scritta da Einstein  all’amico Niels Bohr, sintetizza molto bene la natura probabilistica  della meccanica quantistica, una teoria che mette in dubbio la natura  deterministica su cui si basa la fisica classica. La contrapposizione  tra le due teorie, nei primi anni del novecento, è stata molto forte.  Da una parte, a sostenere il principio della causa e dell’effetto,  c’erano nientepopodimeno che Galileo e Newton, dall’altra, a sostenere  il principio dell’azione e della “probabilità” che si verifichi una  certa conseguenza, c’erano dei giganti come Bohr, Schroedinger,  Heisenberg  e Dirac. Einstein dubitava. Dubitava che la natura fosse  descritta in termini probabilistici ed espresse il suo dubbio  attraverso quella frase divenuta celebre. Dal suo canto, Bohr gli  rispose con un altro dubbio “relativistico”: Piantala di dire a Dio  come deve giocare!
Il dubbio è una caratteristica essenziale del pensiero filosofico e  scientifico. Hanno dubitato Aristotele, Socrate, Cartesio, Galileo,  Newton e Einstein, solo per citarne alcuni… Il dubbio, però, deve  avere origine da basi solide e non sempre questo accade. Il  relativismo scientifico nasce proprio dalla mancanza di un pensiero  critico e di una conoscenza approfondita di un certo argomento. Pochi  avrebbero il coraggio di mettere in dubbio la teoria della relatività,  molti, invece, hanno la presunzione di mettere in dubbio  l’interpretazione dei dati statistici. La differenza tra i due  comportamenti è abbastanza legittima e deriva in parte dalla profonda  diversità tra le teorie basate sul metodo scientifico deduttivo e  l’adozione di modelli induttivi empirici attraverso i quali vengono  descritti dei fenomeni (naturali, sociali, medici) attraverso la  raccolta dei dati e la loro interpretazione. Anzi, “le” loro  interpretazioni. Da una parte ci sono le previsioni teoriche, che  vengono verificate sperimentalmente e hanno due caratteristiche  fondamentali: si basano sulla matematica, l’unica scienza esatta (o  quasi) a disposizione dell’uomo, e sono riproducibili  sperimentalmente. Dall’altra parte ci sono la raccolta dei dati,  organizzata in maniera più o meno rigorosa, l’analisi e le conclusioni  a cui si giunge applicando uno o più modelli. Il metodo deduttivo  contro il metodo induttivo. Si potrebbe semplificare  “informaticamente” la questione, facendo ricorso alla differenza tra  la logica  top-down e la logica bottom-up, ma è evidente che ci  troviamo di fronte a un problema ben più complesso. La logica  induttiva (bottom-up) alla base del processo di raccolta e di  produzione dei dati statistici, sebbene si basi su metodi scientifici,  ha delle fragilità intrinseche che nella logica deduttiva sono molto  meno accentuate. I dati statistici hanno bisogno di una chiave di  lettura, che spesso può essere diversa in base al modello adottato (e  spesso può essere sbagliata), la teoria scientifica, al contrario, “è”  una chiave di lettura che trova conferma nell’esperimento e nella  raccolta dei dati. È per questo che la lettura di un dato statistico  non è quasi mai univoca, ed è per questo che i dati e le statistiche  possono essere usati per mentire autorevolmente con (falso) rigore  scientifico. Difendersi dalle “statistiche taroccate” è molto  difficile, l’unico strumento efficace è rappresentato dal dubbio  cartesiano. Il dubbio insieme al razionalismo critico e alla capacità  di guardare un certo fenomeno da diverse prospettive rappresentano  degli ottimi strumenti per avvicinarsi alla verità. Queste due  caratteristiche, in un momento storico di profonda disgregazione  sociale e intellettuale, pieno di giornalisti saputelli e  pseudoscienziati televisivi che vendono facili certezze alla  popolazione (salvo poi smentirle a petto nudo sulle riviste di gossip,  sul red carpet o nei salotti dei talk show), sono, a volte a torto, a  volte a ragione, abbinate alla parola “complottismo” e a una tipologia  di persone ignoranti e inutilmente sospettose. Associare i ragionevoli  dubbi al complottismo è un’operazione distruttiva molto grave perché  permette di far passare una palese menzogna non contraddetta in una  rassicurante falsa verità. L’unica verità. Questa perdita totale di  razionalità è frutto di una decadente cultura scientifica collettiva,  ormai ridotta ai minimi termini, e di una diffusa “scienza delle  opinioni” attraverso la quale, chiunque, anche grazie a quei social  che “hanno dato voce agli imbecilli”, per dirlo con le parole di  Umberto Eco, può affermare qualsiasi teoria farlocca senza un vero e  proprio contraddittorio e senza il rischio di passare per una sana  gogna pubblica mediatica. La società del politicamente corretto vieta  categoricamente di dire apertamente a un idiota che è un idiota.  Galileo Galilei, Dante Alighieri e Magritte erano politicamente  scorretti. La scienza e l’arte sono politicamente scorrette. La vita è  politicamente scorretta. Bisognerebbe iniziare a farsene una ragione…
La domanda, a questo punto, potrebbe essere: “Quando un dubbio e  ragionevole?”.
La risposta si può trovare in un aneddoto scientifico di qualche anno fa.
Nel 1930, a Lipsia, di fronte alla Società tedesca di fisica, si  svolse una conferenza a cui partecipò Albert Einstein. Al termine del  suo intervento, “Albertone” si rivolse al pubblico per sollecitare  qualche domanda. Dall’ultima fila si alzò un ragazzo magrolino, con  due occhi vispi e un enorme ciuffo simile a quello di Cameron Diaz nel  film Tutti pazzi per Mary. Il ragazzo non conosceva bene la lingua  tedesca e con una certa aria di superiorità disse: “Quello che ha  detto il Professor Einstein non è stupido, ma la seconda equazione che  ha scritto non deriva dalla prima. Essa richiede, infatti, delle  ulteriori assunzioni che non sono state fatte e, inoltre, quel che è  peggio, non soddisfa un criterio di invarianza, come invece dovrebbe  essere”.
Ovviamente, l’atmosfera diventò subito gelida e surreale. C’era chi  sghignazzava, chi, indignato e incredulo, esprimeva il proprio  dissenso con cenni del capo e chi si chiedeva perché era stata data la  parola a uno studentello che puzzava ancora di latte e che aveva osato  mettere in dubbio le parole di Einstein. Per la maggioranza, quel  dubbio era illegittimo e non aveva senso. Einstein non faceva parte  della maggioranza. Cominciò ad accarezzare i suoi baffetti da  sparviero e ad osservare attentamente la lavagna. Dopo qualche minuto,  si rivolse alla platea e disse: “L’osservazione è perfettamente  corretta. Vi prego pertanto di dimenticare tutto quello che vi ho  detto quest’oggi”.
C’è da dire che il ragazzo disobbediente, in quel caso, non era  esattamente lo stereotipo dell’ignorante che “le scie chimiche…, il  5G…, il microchip…complotto!”, era Lev Davidovich Landau, quello  che, qualche anno più tardi, divenne il principale fisico teorico  dell’Unione Sovietica. In quel caso, il dubbio era più che legittimo e  il destinatario della critica era egli stesso un critico feroce nei  propri confronti, disponibile a prendere in considerazione  osservazioni che avrebbero potuto sia sostenere che confutare le sue  teorie. Si potrebbe dire che un dubbio diventa legittimo quando  dimostra l’errore e falsifica una teoria. L’atteggiamento di Einstein  nei confronti della scienza era basato su questa idea di dubbio e fu  alla base delle riflessioni che fece in seguito Karl Popper, il  filosofo del razionalismo critico, in merito alla critica e alla  falsificazione scientifica, ovvero all’atteggiamento antidogmatico che  non va alla ricerca di conferme ma di confutazioni. Popper criticò  ferocemente il metodo induttivo, obiettando che le leggi scientifiche  non vengono ricavate dall’osservazione ripetuta di puri fatti, ma sono  sempre precedute da un’intuizione sulla natura delle cose o da  un’ipotesi di lavoro palese o inconscia.In altre parole, Popper era un  ultrà del metodo deduttivo galileiano (sempre sia laudato), Einstein  era un po’ più equilibrato, ma pur sempre tifoso. Insomma, Popper era  un po’ come Tirzan in Eccezziunale veramente e Einstein come Oronzo  Canà nell’Allenatore nel pallone. Lo stesso Einstein scrisse queste  parole a proposito del metodo induttivo : L’immagine più semplice che  ci si può formare dell’origine di una scienza empirica è quella che si  basa sul metodo induttivo. Fatti singoli vengono scelti e raggruppati  in modo da lasciare emergere con chiarezza la relazione legiforme che  li connette. Tramite il raggruppamento di queste regolarità è  possibile conseguire ulteriormente regolarità più generali, fino a  configurare – in considerazione dell’insieme disponibile dei singoli  fatti – un sistema più o meno unitario, tale che la mente che guarda  le cose a partire dalle generalizzazioni raggiunte per ultimo  potrebbe, a ritroso, per via puramente logica, pervenire di nuovo a  singoli fatti particolari. Un pur rapido sguardo allo sviluppo  effettivo della scienza mostra che i grandi progressi della conoscenza  scientifica solo in piccola parte si sono avuti in questo modo.  Infatti, se il ricercatore si avvicinasse alle cose senza una qualche  idea (Meinung) preconcetta, come potrebbe egli mai afferrare, dal  mezzo di una enorme quantità della più complicata esperienza, fatti i  quali sono semplicemente sufficienti a rendere palesi relazioni  legiformi? Galilei non avrebbe mai potuto trovare la legge della  caduta libera dei gravi senza l’idea preconcetta stando alla quale,  sebbene i rapporti che noi di fatto troviamo, sono complicati  dall’azione della resistenza dell’aria, nondimeno noi consideriamo  cadute di gravi nelle quali tale resistenza gioca un ruolo  sostanzialmente nullo.
I progressi veramente grandi della conoscenza della natura si sono avuti seguendo una via quasi diametralmente opposta a quella dell’induzione. Una concezione intuitiva dell’essenziale di un grosso complesso di cose porta il ricercatore alla proposta di un principio ipotetico o di più principi di tal genere. Dal principio (sistema di assiomi) egli deduce per via puramente logico-deduttiva le conseguenze in maniera più completa possibile. Queste conseguenze estraibili dal principio, spesso attraverso sviluppi e calcoli noiosi, vengono poi messe a confronto con le esperienze e forniscono così un criterio per la giustificazione del principio basato. Il principio (assiomi) e le conseguenze si formeranno insieme quella che si dice una “teoria”. Ogni persona colta sa che i più grandi progressi della conoscenza della natura – per esempio, la teoria della gravitazione di Newton, la termodinamica, la teoria cinetica dei gas, l’elettrodinamica moderna, ecc. – hanno tutti avuto origine per questa via, e che il loro fondamento è di natura ipotetica.
A questo punto, è utile fermarsi con le noiose considerazioni di carattere scientifico e soffermarsi su quanto è accaduto negli ultimi due anni in merito alla gestione della pandemia. Con un’avvertenza: il mio punto di vista è senz’altro influenzato dal pensiero scientifico einsteiniano. In primo luogo, non c’è stato un dibattito scientifico qualitativamente accettabile. Anzi, non c’è stato nessun dibattito. I dubbi, anche i più legittimi, sono stati etichettati con due immagini dispregiative e stupidamente discriminatorie: da una parte ci sono gli intelligenti e dall’altra ci sono i cavernicoli “complottisti”. I dati, anche quelli più evidenti, sono stati travisati e usati ad arte per creare false narrazioni, spaccature e conflitti sociali. La scienza è diventata un circo che non procede né per induzione né tantomeno per deduzione: procede per contraddizioni, per fede e per opinioni da bar portate avanti dalle tifoserie. La scienza è diventata una nuova religione salvifica che vende l’immortalità e un nuovo dio in cui credere. Un dio che ha le sembianze dell’opinionista da copertina e che riesce a convincere i suoi discepoli senza grosse difficoltà, spesso mentendo palesemente (come del resto fanno tutte le religioni). Giocando a dadi, per l’appunto, ma non nel senso einsteiniano. Giocando a giocare sui numeri e sulle diverse rappresentazioni della realtà. Giocando con le paure, con le parole, con il pensiero unico e con dieci di narrazioni contraddittorie che non c’entrano nulla con la ragione e non c’entrano nulla nemmeno con la religione. Peccato che, per qualcuno, non sia affatto vero che la scienza, come la religione, non si possa discutere. La scienza si discute eccome, perché soltanto attraverso il confronto socratico è possibile arrivare a qualcosa che somigli alla verità. Si può arrivare perfino a sostenere che “Dio è morto” ea discuterne civilmente. La storia sarebbe stata diversa, se Einstein, quel giorno, avesse detto: “Signor Landau, lei è un “complottista” e la mia equazione non si discute”. Si potrebbe obiettare le mie riflessioni riguardare un ambito scientifico elitario che fanno una subdola e tra scienze maggiori e scienze minori. Sono fermamente sostenuto che non esisteno scie maggiori e scienze minori, esistenze maggiori e quello minori, ed esiste il “dosso del relativismo scientifico”, in cui gli maggiori sono al dialogo e gli minori sono vanitosi, irascibili , intolleranti alle critiche e ai confronti, con un ego spropositato e inclini all’autocelebrazione. La scienza è una cosa seria che merita di essere discussa e contraddetta, non merita certamente di essere umiliata.

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