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ALESSANDROCAPEZZUOLI

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Mese: Luglio 2019

Voli d’angelo e pelli di leone

Posted on 16 Luglio 201926 Dicembre 2019 by admin

Io e lo sport abbiamo sempre avuto un rapporto burrascoso, tipo Brooke e Ridge in Beautiful. Ormai non conto più le volte che ci siamo presi e lasciati… che nostalgia. Quante volte, dopo una prova impegnativa, ho detto, Ma chi cazzo me l’ha fatto fare?, più o meno come quando ripenso alle poche ma squilibrate donne che per fortuna sono lontane. Quanti commoventi vaffanculi di cuore ho indirizzato alle salite ripide percorse in bicicletta? Quanti mortacci, passando al setaccio diverse generazioni, ho evocato, mentre scendevo da qualche pista nera con gli sci? Lo so, le parole d’amore sono una cosa meravigliosa… Nonostante ormai siamo arrivati ai ferri corti, lo sport continua a tentarmi come una baldracca d’alto bordo: prima mi fa vedere la coscia tornita e poi mi presenta il conto. Ho provato di tutto: calcio, nuoto, pallavolo, basket, windsurf, sci, canoa, ciclismo, atletica… e in ogni disciplina ho primeggiato al contrario. Ho ultimeggiato. Fallendo, ovviamente. Daniela, la mia compagna fedele come un lupus eritematoso, invece, oltre ad avere una predisposizione naturale per qualsiasi sport che la diabolica mente dell’uomo abbia avuto la malvagità d’inventare, è anche campionessa di decathlon. No, non intendo quella specialità che prevede la pratica di dieci sport impossibili per le capacità di qualsiasi comune mortale. Sarei tentato di dire che è più portata per passare ore e ore dentro al negozio di sport dal nome omonimo, a rompere le balle ai commessi e a scegliere capi d’abbigliamento super scontati, dai colori improbabili, che non indosserebbe nemmeno Platinette, ma nemmeno questa è l’attività in cui spicca. Il suo è un decathlon psicologico contro di me, una specie di giochi senza frontiere distruttivo, che prevede:

– Frantumazione ripetuta delle sacche scrotali perpetrata con lamentele crescenti su temi casuali, sconnessi e inutili.
– Frattura scomposta dell’apparato riproduttivo, preceduta da scenata di gelosia isterica e simulazione di convulsioni
– Tre giorni di “niente’” a chiunque tenti di chiedere cosa c’è che non va
– Prova di velocità di bipolarismo, per battere il primato del mondo sul numero di cambi d’umore al minuto
– Distruzione di autostima a colpi di “non capisci”.
– Rievocazione e rinfaccio di parole dette anni prima, registrate nel master boot record dell’hard disk cerebrale, e pronte a essere vomitate al primo malfunzionamento del BIOS.
– Prova di imbruttimento multipla con testata a freddo in pieno petto, corredata dalla fatidica domanda “chi è quella troia?”
– Istigazione alla crisi d’identità, con tecniche di distruzione psicologica subliminali, e competizioni ad minchiam con qualsiasi donna abbia avuto la sventura di nominare.
– Sollevamento di problemi inesistenti e corsa alle insoddisfazioni
– Salto con l’ansia e scatto di nervi

Capirete che, con una donna simile accanto, gli sport estremi si sprecano. Il più pericoloso in assoluto è la contraddizione. Basta che io dica timidamente “forse stai sbagliando”, badate bene, “forse”, non “sono certo che”, per scatenare una prova di forza su chi ha ragione. Prova di forza che finisce solitamente in rissa e non termina alla fine della discussione. Nooo, termina quando è stata attuata, da parte sua, una vendetta lenta, progressiva e proporzionata, come suggerito dal codice barbaricino, libro che tiene sopra al comodino e consulta tutte le sere prima di addormentarsi. Termina in un momento qualsiasi, in un pomeriggio qualsiasi, in cui non si può far altro che tirar fuori il rancore. Quando la noia e la voglia di stare lontani superano di gran lunga la voglia di stare insieme. Questa è la vera differenza tra me e lei: io quel “forse” lo dimentico subito dopo la discussione, a lei resta marchiato a fuoco nelle sinapsi. E a volte le sue sinapsi si impallano come Windows. La differenza è che per risolvere la situazione non si possono spingere i tasti Ctrl-Alt-Canc e tantomeno riavviare il sistema operativo. Va in loop, come quei programmi che si scrivevano da ragazzini sul Commodore 64 per sentirsi dei programmatori navigati. Riga 1, print “Sei bello”. Riga 2 go to 1. Solo che nel caso di Daniela la riga 1 corrisponde a uno dei dieci punti elenco del decathlon decalogo. Su quel “forse”, lei costruisce un castello di riflessioni, di “forse intendeva dire che…”. Lo fa in piena autonomia e libertà. E quando una donna ragiona liberamente e autonomamente sulle parole dette da un uomo, di sicuro trae delle conclusioni sbagliate. Perché siamo diversi, non c’è niente da fare. L’uomo ragiona in maniera euclidea e la donna in modo naif. Per comprendersi, bisogna parlarsi e confrontarsi. Altrimenti si rischia di schiantarsi a volo d’angelo sulle incomprensioni e di atterrare a pelle di leone sui fallimenti sentimentali. Che poi è la mia specialità, anche negli sport. Sono un campione di volo a cazzo di cane e atterraggio scomposto. Ricordo quella volta in cui, per seguire lei e i suoi amici, dei pazzi esaltati con la fissazione dell’adrenalina e delle prestazioni da gara, mi sono imbattuto nella più fantozziana delle discese sugli sci: la Gran Risa. Già il nome avrebbe dovuto suggerirmi qualcosa, rispetto alla reazione che avrebbero avuto gli altri nei miei confronti.
– Hai visto quanto è ripida? Sembra un muro…
– Infatti, più che Gran Risa avrebbero dovuto chiamarla Muro del pianto…
– E dai, Luca, devi sempre rovinare tutto!
– Non voglio rovinare nulla, invece. Sai che a me piace scendere lentamente, facendo delle tappe, che prevedono strudel, cioccolata calda e bombardino con panna.
– Uffa! Non capisci proprio niente. Pensi sempre al cibo. Prendi esempio da Piero… lui scende come un razzo e ha uno stile perfetto.
Che vi avevo detto? Ecco il primo “Non capisci” della giornata. E, per non farsi mancare nulla, anche l’istigazione alla crisi d’identità. Piero, invece, capisce. Per essere precisi, Piero è un manager rampante, palestrato e con la fissazione del deltoide scolpito, della dieta proteica, e del Rolex Daytona stile macellaio arricchito. Tacchina Daniela da sempre. E lei si lascia tacchinare, peraltro. Il fatto è che non riesco a prendere esempio da un gorilla con due neuroni sconnessi, e questo sta diventando un problema. Io sono fiero del mio sognare, di questo eterno mio incespicare, direbbe Guccini. E rido in faccia a quello che cerchi e che mai avrai, direbbe sempre Guccini.
– Sì, Piero è il mio modello di riferimento. Se oltre a sciare come Alberto Tomba riuscisse a dire “se io avessi” e non “se io avrei”, sarebbe un uomo da sposare.
– Non essere polemico: non si vive di soli congiuntivi. Serve anche altro…
– Sì, è vero, per vivere servono anche i Rolex da otto chili. Di piste nere, invece, si può morire.
– Esagerato! Su, forza, vedrai che ti divertirai.
Come no…
Odio la mia accondiscendenza, specialmente quando la uso per mascherare il mio senso di inadeguatezza. Per non sentirmi diverso, dico sì. E mi pento. Dovrei fregarmene e dire dei no tondi tondi, ma non sono capace. Eppure, dovrei aver imparato che quando cerco di essere uguale agli altri le cose vanno a puttane. Qualsiasi cosa. Dal lavoro all’amore. Tranquilli, non vi deluderò: anche stavolta, per non sentirmi inadeguato rispetto a Piero e per non deludere Daniela, dirò di sì. Anche se ho paura. Anche se non so sciare. Anche se vorrei solo stare con lei, senza avere quest’ansia da prestazione e da competizione. Servirà a qualcosa? Chi può dirlo? Ah, già, posso dirlo io, che vi sto raccontando la storia…
Eravamo schierati in formazione d’assalto. Sembravamo i Sorci verdi, il temibile battaglione aereo della seconda guerra mondiale da cui deriva il celebre detto “te faccio vedé li sorci verdi”. Con la precisazione che, in quell’occasione, io ero il bersaglio e loro il battaglione. E i sorci verdi, in effetti, me li hanno fatti vedere. C’è da dire che la formazione d’assalto era molto disomogenea. In prima fila erano schierati Daniela e Piero, poi, a scalare, in ordine di ego ed esaltazione, gli altri componenti del gruppo. In coda, io e Rosario, un cinquantenne siciliano e imbranato che vedeva nella mia inadeguatezza l’unica sua ancora di salvezza, più o meno come io vedevo nella pratica professionale del suo nome l’unico sistema per uscire vivi da quella situazione.
– A Lù, non so te, ma, come dite a Roma?, io me sto a cacà sotto dalla paura…
– Tranquillo, Rosà, scendiamo piano piano a spazzaneve. A ogni curva tu dici un ora pro nobis, nella speranza che serva a qualcosa, e vedrai che ne usciamo vivi.
Che gruppo di merda!
Disomogeneo al massimo.
Mi chiedo perché, per far funzionare le cose in una coppia, si debba sempre scendere a compromessi. Non è possibile andare nella stessa direzione? No, pare di no. Uno ama il mare, l’altra la montagna. Una è pigra, l’altro iperattivo. Uno è simpatico, l’altra ha il senso dell’umorismo di un frigorifero. Uno è passionale, l’altra una lavastoviglie con le unghie. Uno ha amici anarchici e minimalisti, l’altra amici fighetti e superficiali. Fattele due domande, se le relazioni naufragano, no? Ogni volta che si fa un compromesso, si rinuncia a essere sé stessi. E ogni volta che si rinuncia a essere quello che si è, si scava la fossa alle relazioni. Perché se uno è costretto a essere qualcun altro significa che la persona che ha accanto ha bisogno di qualcun altro. Questa rincorsa a essere diverso da quello che sono mi ha un po’ rotto i coglioni. Soprattutto quando mi ritrovo in contesti in cui la diversità mi fa sentire profondamente inadeguato. Tipo quelle cene tra pariolini figli di papà in cui ognuno tenta di dimostrare, a colpi di successi lavorativi, scarpe in pelle di foca nana del Sahara e soluzioni capitalrazziste ai problemi del mondo, chi ce l’ha più lungo, senza rendersi conto di mettere sul tavolo una dotazione genitale che meriterebbe un microscopio di precisione, per essere osservata. Sappiatelo, io rubavo i pezzi dei motorini insieme a Giggetto, il tossico del quartiere. Quanta nobiltà c’era in quei gesti. Eravamo i Robin Hood delle due ruote. Rubavamo a chi aveva i pezzi di ricambio, per venderli a poco prezzo a chi non li aveva. A chi non aveva il motorino non rubavamo niente Più nobili di così credo che non si possa essere. Quella era un’azienda solida, altro che Amazon. Una vera Società a Responsabilità Limitata. Io mi limitavo a fare il palo e Giggetto a smontare i pezzi: eravamo d’accordo che se la polizia si fosse bevuta uno dei due l’altro avrebbe negato fino alla morte qualsiasi conoscenza. Più limitata di così… Non siamo mai andati in perdita, i conti sono sempre stati a posto. Il fatto che i miei soldi li abbia investiti in cazzate inutili dipende dal mio spiccato senso per gli affari, che si è palesato fin dall’adolescenza. Ricordo con commozione quel trittico, composto da sella, ruota e carburatore di una Vespa 150, che ha fruttato la somma esatta per comprare un Game Boy con cui sfidare gli amici a Tetris. E ricordo nettamente i ringraziamenti sinceri del ricettatore: erano mesi che la sua Vespa singhiozzava a causa di un carburatore malfunzionante. Con una spesa contenuta, gli consentimmo di sistemarla. Tutti contenti, insomma. Se state pensando che il derubato non sia rimasto proprio contento, vi dico che se uno può permettersi un carburatore funzionante, non si può provare pena. Sono problemi suoi, se viene derubato. A me interessa aiutare chi non può permetterselo…
Invece, sentire i discorsi dei manager rampanti mi fa venire il voltastomaco. Sì può essere schiavi di un padrone, che si arricchisce alle loro spalle e non gliene frega un cazzo dei dipendenti, credendo di vivere una vita appagante e sentendosi realizzati? Evidentemente sì, è possibile. Se è possibile questo, può anche verificarsi l’eventualità che un ladro libero faccia il suo sporco lavoro, che poi così sporco non è, se viene paragonato a quello di chi ruba in giacca e cravatta, e smonti nottetempo i paraurti delle auto per rivenderli ai bisognosi.
Insomma, mentre guardo le ricche facce da culo che mi circondano, ripenso ai primi tempi, a quanto eravamo spensierati io e Daniela quella volta in cui ci ritrovammo a sciare insieme ad Alberto, il mio migliore amico, e a quella baldracca della sua compagna, la donna che ci ha fatto allontanare. Sono mesi che non usciamo insieme. E mi manca un po’. Chissà come avrebbe reagito, in questa occasione. Sicuramente non mi avrebbe lasciato indietro… In certi momenti, bisognerebbe fare delle fotografie, per ricordarsi come siamo prima che tutto cambi. Sarebbero delle immagini da guardare con nostalgia, utili per trovare il punto esatto in cui qualcosa è andato storto e si è rotto, e servirebbero per capire come non sbagliare più. Invece, si dimentica, o si cambia, e si cede il fianco agli sbagli ancora, ancora e ancora.
– Scendiamo a cannone e l’ultimo paga da bere.
Ancora con queste scommesse da coglioni? Pago io e la finiamo qua, penso.
– Quanto mi sta sul cazzo quel Piero.
– Lo dici a me? È una vita che cerca di rimorchiare Daniela. Prima o poi ci riuscirà, ne sono certo.
– Minchia!, ieri sera eravamo seduti allo stesso tavolo: non ha fatto altro che parlare di SUV, bilanci, Costa Smeralda e investimenti.
– Che uomo modesto. Briatore in confronto a lui è don Gallo…
– Però sa sciare… Guarda come scende a razzo.
– Dai, scendiamo anche noi…
Come si traduce, in italiano, l’espressione romana “Mortaccisuaquantoèripidastadiscesa”?
Non mi viene in mente niente. “Accipicchiolina, la pendenza è elevata” non rende l’idea.
Ma chi me l’ha fatto fare? Non potevo restarmene in albergo, simulando un attacco di cervicale? Mi tocca far ricorso al coraggio che non ho. Mi faccio il segno della croce, nel nome di Daniela, di Piero e dell’anima di chi t’è muort. Scendo con una grazia che non dico Graziella un po’ per modestia e un po’ perché renderebbe di più l’idea la terza Grazia, quella più famosa…
Ogni metro è una scommessa con Newton per mantenere l’equilibrio. Ovviamente, nel mio caso, più delle leggi della fisica valgono le leggi della metafisica e, soprattutto, il ricorso alla religione. Non proprio alla religione… diciamo a quella branca della religione che prevede un sano raccoglimento spirituale al quale prima o poi ricorrono tutti. No, non parlo del catechismo e nemmeno della confessione. Parlo della bestemmia, per l’esattezza. Ci vuole talento a nominare invano il nome di dio e di tutti i suoi collaboratori, a mo’ di cantilena, come in una canzone degli Inti Illimani o, meglio, come in un coro gospel.
Mantenendo il tempo.
In ordine d’importanza.
Solista: Porco Giuda ciabattino.
Coro: Prega per noi.
Modestamente, io quel genere di talento ce l’ho. Forse, quando andrò all’inferno, avrò uno sconto di pena. Forse…
Mentre valuto con attenzione il girone infernale in cui potrei finire, esitando tra quello dei minchioni e quello degli assaggiatori professionisti di merendine, sento dire:
– Wow, la pista è ghiacciata! È fantastica…
Fantastica un cazzo, dico io.
Ma non faccio in tempo a concretizzare il mio dissenso perché, davanti a me, Rosario perde l’equilibrio, dando ragione più alla legge di Murphy che a quella di Newton, fa una spaccata, perde l’equilibrio e inizia a rotolare a valle come un cannolo siciliano.
– Luca, aiuto!, non riesco a fermarmi…
Capirai, ti stai rivolgendo alla persona giusta… Provo a vedere quello che riesco a fare. Ecco, ora giro a sinistra. No, questo sci di merda mi porta a destra. Cumulo di neve, ghiaccio e accelerazione improvvisa. Perdo l’equilibrio, cado, resto in piedi. Cazzo, sto andando sparato verso di lui. Lo prendo? Lo schivo? Lo ammazzo?
Per fortuna, Rosario si è fermato con naturalezza, schiantandosi contro un masso al lato della pista. Non dà segni di vita. Sarà morto? Se lo è, buon per lui: non dovrà fare i conti con la moglie,quando rientra in albergo. Lo vedo avvicinarsi; cioè, sono io ad avvicinarmi a lui a velocità folle, ed è sdraiato davanti a me, in posizione da briscola: a 4 di bastoni con gli zebedei a favore di sci. Rosario, arrivo, sono il tuo asso di bastoni e ti dimostrerò scientificamente che le bestemmie funzionano meglio delle preghiere. Per dimostrare che le parole che scrivo non mi tradirebbero mai, uno dei miei sci non tarda a centrarlo in pieno sulle palle prendendole anche come trampolino di lancio, prima di staccarsi dall’attacco. L’altro, più discreto ed elegante, prende una direzione sobria e, con le lamine affilate che si ritrova, trancia di netto il completo da sci nuovo di pacca e gli recide un’arteria secondaria del braccio, colorando la pista di sangue. A prima vista, potrebbe sembrare una tragedia, invece la buona notizia c’è: la mia manovra impeccabile è servita per farmi capire subito che Rosario è vivo. Il colpo del primo sci ha suscitato in lui una reazione positiva, manifestata attraverso una evidente espressione di giubilo, roba tipo “ma porca di quella M…”
Visto che le bestemmie servono? Se un uomo bestemmia significa che è vivo.
Nel frattempo, anche il secondo sci, dopo aver svolto egregiamente il suo lavoro, si stacca. E qui entro in scena io. Impatto violento, sci persi istantaneamente… e cosa resta, se non il volo dell’angelo imprecatore? Mi libbro in aria come un passerotto, e ricado violentemente a pelle di leone sulla pista che “Wow, è ghiacciata! È fantastica…”.
Aveva ragione Rosario: fermarsi su una pista nera ghiacciata è quasi impossibile. Bisogna avere culo. E io spero di averlo e di schiantarmi come lui contro un masso. Niente da fare, continuo a scivolare su quel muro di ghiaccio, come una saponetta imbevuta di sugna. A un certo punto, la fortuna sembra ricordarsi di me: un cumulo di neve improvviso mi fa uscire dalla pista. Dio, ti prego, fammi terminare la corsa addosso a un abete, uno di quegli abetoni montani che sembrano fatti apposta per stroncare la vita degli incapaci. Macché, sono incapace anche nel fuori pista e continuo la mia corsa nella direzione del laghetto. Complimenti! Bel posto dove mettere un laghetto. Ci voleva tanto a prevedere che un giorno qualche deficiente avrebbe potuto finirci dentro?
Quel giorno è arrivato.
Quel deficiente pure.
A nulla servono le preghiere, le bestemmie e i cespugli abbattuti con la faccia e con le mani messe in posizione di barra falciante Gaspardo modello F925: un tuffo dove l’acqua è più blu, niente di piùùù. Giusto un coglione come me può pensare all’Equipe ‘84, prima di morire assiderato in un laghetto montano. Per fortuna, una ragazza, evidentemente pratica di coglioni che si tuffano a valanga nei laghetti, vede la scena e si precipita a salvarmi dall’assideramento. Ricordo due cose, di quell’evento: la striscia di sangue che ho disegnato col mio naso rotto e il telefonino annegato al posto mio e morto per sempre. E con lui tutta la rubrica telefonica. Centinaia di contatti persi. Anche quello di Luisa, che si è sempre sottratta alle mie advances, ma sono sicuro che avrebbe ceduto, prima o poi, se solo avessi imparato a memoria il suo numero, invece di aver imparato quello di Aristide Squarcialupi, il meccanico a cui ho telefonato centinaia di volte per quella bagascia di Panda mai riparata completamente. L’acqua gelata del lago non è per niente male: ricordo lucidamente l’effetto istantaneo del congelamento scrotale. Mi cadrà tutto l’apparato, ho pensato.
In tutto ciò, invece di una parola compassionevole, che so, un “tesoro mio ho avuto il terrore di perderti”, Daniela non si è smentita. Quando l’angelo salvatore, ragazza peraltro dalle fattezze gradevolissime, mi ha accompagnato infreddolito e bagnato come un pulcino alla fine della pista, tra le espressioni di ilarità e disprezzo della comitiva si è levata la voce calda di Daniela, che ha sussurrato “chi sarebbe quella zoccola?”.

Gli amori difficili si rimpiangono

Posted on 7 Luglio 201926 Dicembre 2019 by admin

Gli amori difficili si rimpiangono

–          A che ora passi a prendermi?

–          Esco tra poco, finisco di controllare la bozza del terzo capitolo e sono da te.

–          Sei soddisfatto?

–          Mah, non so, c’è qualcosa che non mi convince…

–          Il solito pignolo… non vedo l’ora di leggerti.

–          Dai, mi sbrigo!, se resto al telefono con te va a finire che ceni con la pizza cartonata…

–          Per me va bene, basta che sia tu a consegnarmela…

Colpito e affondato. Rossella, con questo modo di fare, di dire e non dire, riesce a spiazzarmi sempre. Fa un passo avanti e si ritrae. Quello che non ha capito, e che provo costantemente a ricordarle, senza successo, è che io non ho proprio voglia di buttarmi dentro un’altra storia. Ho detto basta. Ne ho fatti troppi, di errori. Troppi. Sono l’esempio vivente di quanto siano fallimentari i sentimenti e la dimostrazione scientifica dell’inutilità dell’amore. O meglio, a qualcosa l’amore serve: a soffrire come bestie. Serve per deludere e disilludere gli esseri umani. E io, non solo non voglio più soffrire, non voglio nemmeno rischiare… proprio adesso che ho trovato un equilibrio interiore. Sto bene. Scrivo, leggo, ascolto musica e ogni tanto faccio qualche viaggetto solitario. Sto proprio bene. In armonia col creato e col creatore. Senza inutili complicazioni sentimentali. Le donne che ho avuto una cosa me l’hanno insegnata: a stare da solo. Insegnamento pagato a caro prezzo, dopo essermi illuso di compagnia. Quanto è bella la razionalità, eh? Mette al riparo da tutto. La razionalità protegge dalle fregature almeno quanto la diffidenza. E io sono diventato razionale e diffidente. Quella roba laccosa da adolescenti, amore amore, ciuppi ciuppi, mi fa venire la nausea. Sentimenti razionali ed emozioni controllate. Trovarmi di nuovo in una storia ingarbugliata e difficile è l’ultima cosa che mi passa per la testa. Lei non mi ha mai chiesto niente, è vero, ma si vede a distanza quanto è coinvolta. Mi stupisco che non se ne sia accorto anche Marco, suo marito. Ex marito. Pentito. Una donna innamorata diventa bellissima. E Rossella lo è. Ci penso, ci penso spesso: se mi lasciassi andare, finirei per soffrire di mancanze. Vuoti di presenza. Starei insieme a una donna che ci sarà e non ci sarà.Contemporaneamente. E questo mi farà a pezzi.
Però… cosa vuoi che sia mai una cena? Se mi comporto da amico, con un certo distacco, non succede nulla. Lo faccio da mesi e i risultati sono ottimi. Siamo vicini, ma non troppo. Eppoi, stasera non mi va di restare a casa. Mi è venuta una botta di tristezza e nostalgia che non saprei come frenare. Tristezza che non è mancanza di nessuno. E’ vuoto e basta. Solitudine. Altro che terzo capitolo… non ho fatto un cazzo tutto il giorno e sono rimasto a girare per casa in mutande. Quando non gira non gira, c’è poco da fare. Sono bloccato da mesi e non riesco ad andare avanti. Sarà un libro che verrà ricordato per la sua inconcludenza. Forse, tra cento anni, mi considereranno tutti un genio, per questo lavoro incompiuto, e invece sono solo un coglione nostalgico ripiegato sui ricordi. Ricordi di merda, peraltro. Penso di essere l’unico idiota sulla faccia della terra a voltarsi indietro e provare nostalgia, non per le gioie, per i torti subiti e i dolori vissuti. Nostalgia per quei barlumi di felicità intravista, sfiorata e mai raggiunta. Meglio di niente, penso. Se soffri, almeno significa che sei vivo. Se non provi niente, sei morto.

–          Ehi, sono proprio contenta di vederti…

–          Ciao Rossella, sei bellissima, stasera. Non dire che ti sei messa la prima cosa che ti è capitata, perché non ci credo.

–          No, infatti…

–          Prendiamo un antipasto? Io ti consiglio le alici fritte ripiene: qua le fanno buonissime.

–          Aggiudicato!

–          Aggiungerei anche un Vermentino di Gallura…

–          Non pensavo ti piacesse il vino…

–          Vado a fasi alterne, in accordo col mio umore: un giorno mi piace, l’altro lo detesto.

–          Ottimo! Un uomo bipolare è quello che ci vuole, per farmi felice… Coordiniamo la bipolarità, però, altrimenti non ne usciamo vivi…. E come procede il tuo libro?

–          Malissimo. Ti ho detto una cazzata, al telefono. Non ho revisionato il terzo capitolo, sono bloccato da mesi e non so come andare avanti.

–          Mancanza di ispirazione?

–          Forse. O forse, per scrivere, servono la storia giusta, lo stato d’animo giusto e il momento giusto.

–          Giusto!

–          Lo so, sono il ritratto di un uomo decadente e malinconico, quasi cinquantenne, col fascino del pensatore introverso, che nasconde le insicurezze di chi è fragile e tendente al depresso.

–          Sì, un po’ malinconico lo sei, ma non importa. Basta che stiamo insieme.
Ecco, questo mi preoccupa… basta che stiamo insieme è l’anticamera del pantano.

 

–          Dove eravamo rimasti, l’ultima volta che ci siamo visti?

–          Eravamo rimasti che io ti ho detto tutto di me e di te non so nulla.

–          Ma no, sai più o meno tutto…

–          So quello che tu vuoi far sapere: due figlie, un rapporto al capolinea e un po’ di insoddisfazione.

–          È esattamente così.

–          Ma io voglio sapere quello che tieni nascosto.

–          Per esempio?

–          Per esempio… Stai bene? Ridi? Fai l’amore? Ti senti amato?

–          Sì

–          …

–          No

–          …

–          Non lo so.

–          Che significa “non lo so”? Dai, non dissimulare: a domanda precisa risposta precisa!

–          Credo di sì.

–          Credo?

–          Sì, direi di sì.

–          Wow! Che fortuna. Tu vuoi farmi credere che stai bene, ridi, fai l’amore, ti senti amato e, nonostante questo, hai la faccia da cinquantenne depresso e malinconico?

–          Già…

–          Dai, Luca, non raccontare cazzate: si vede a un chilometro di distanza che ti porti dentro qualcosa di bello e terribile. Sbaglio?

–          …

–          Sbaglio?

–          No, non sbagli.

–          Guarda, sono pronta ad ascoltare qualsiasi confidenza: avanti, su, vuota il sacco.

–          Non c’è niente da vuotare: c’era una lei che ora non c’è più. Fine.

–          Oddio, anche tu con la sindrome dell’abbandono?

–          Nessuna sindrome, anche perché non sono stato abbandonato. Ci siamo lasciati consapevolmente. Senza strappi. Dopo mesi di sofferenza, ci mancavano solo quelli… Sai com’è, Francesca era sposata e non poteva durare a lungo…

–          E questo cosa c’entra?

–          C’entra, eccome se c’entra. Ha fatto delle scelte e io sono sempre stato la sua seconda scelta. La prima è stata sempre qualcos’altro: marito, lavoro, impegni… Penso di aver peccato di eccesso di fiducia, di averla sopravvalutata. Quando me ne sono reso conto, quando ho capito che mi ero ridotto a elemosinare le briciole, ho iniziato a guardarla in modo completamente diverso e ho realizzato che era finita. Irreversibilmente. Ma poi è passata, e ora sono l’uomo arido che hai davanti.

–          Le storie finiscono, e bisogna avere il coraggio di ammetterlo. Hai mai pensato che le barricate che ti sei costruito adesso ti impediscono di vivere? Cazzo, come fai a stare così? A vivere senza emozioni?

–          Emozioni? Non ricordo nemmeno cosa sia, un’emozione. Ho solo ricordi ammuffiti. E sono stufo di ricostruire un uomo diverso alla fine dell’ennesima relazione finita male. Tu, invece, dovresti preoccuparti più di Marco e meno di me. Io so cavarmela benissimo da solo. Vivo bene. Ho azzerato i rischi e di conseguenza anche le sofferenze.

–          Io ho azzerato i rischi, ma, con Marco, non sono riuscita ad azzerare le distanze. No, non è come dici tu: non si forma una coppia facendosi soltanto compagnia.

–          Dai, Rossella, cerca di essere onesta con te stessa. Hai un marito che ti ha lasciato per un’altra, che si è pentito, che hai perdonato e col quale vivi. Se non è amore questo, non so cosa lo sia. Non parlarmi di distanze, per favore, non ci credi nemmeno tu.

–          Non posso darti torto e non potrei negare l’evidenza. Dico solo che una coppia, per me, è un’altra cosa. Non basta vivere insieme.

–          No, non basta vivere insieme… Ma non serve nemmeno avere un amante per risolvere dei problemi che meritano tutt’altra soluzione.

–          Parli bene, tu… Sai quante volte, fuori dal cancello di casa, ho avuto la tentazione di non rientrare e scomparire?

–          No, ma so che sei sempre rientrata a casa. E che rientrerai sempre.

–          Perché?

–          Perché le donne come te non scappano. Restano.

–          La tua ex, invece, non è restata.

–          Non è esatto. La mia ex non ha saputo restare. Per restare, avrebbe dovuto avere cura. Tu, invece, ti prendi cura degli altri. È questo che ci frega. Quelli come noi dovrebbero mettere da parte l’altruismo, a volte.

–          Se ami qualcuno, puoi essere egoista?

–          Sì, puoi. A volte è necessario.

–          Secondo me l’egoismo, in un rapporto di coppia, non funziona…

–          È l’amore a non funzionare, Rossella. È un sentimento troppo difficile, assoluto, impegnativo, che ti porta in un attimo in paradiso e l’attimo dopo all’inferno. Ti fa soffrire e gioire per cose insignificanti, stupide, e quando ci finisci dentro non riesci a uscirne, se non dopo la devastazione.

–          È bellissimo.

–          Sì, come un infarto.

E dai, molla la presa. Non c’è trippa per gatti. No trip for cats!

–          Ottimismo a palla, eh?

–          Sono sincero. Tu mi hai fatto una domanda e io ti ho risposto. Non intendo avere storie complicate.

Distacco, questo è quello che ci vuole.

–          No, non mi hai risposto. E una risposta me la devi, dal momento che sono qui davanti a te e vorrei capire come comportarmi.

–          Cosa c’è da capire? Prova a capire meglio tuo marito, la persona che hai vicino e con cui fai progetti e condividi la vita, non me.

–          …

–          Scusa la brutalità, ma non ho intenzione di vivere storie di ordinaria sofferenza.
Voglio consumare la mia esistenza in pace.

Magari, se ognuno se ne sta per conto suo, forse riesco anche a finire il mio libro. E poi, una buona amicizia è sempre meglio di una relazione sentimentale pericolosa. L’amicizia non è portatrice di dolori, a volte.

–          Posso decidere liberamente a chi dedicarmi, o vuoi scegliere tu per me?

–          Sì, scusa….

–          Perché ti ha ridotto così?

–          Dai, si freddano le alici…

Frase a cazzo estemporanea.

–          Luca, non me ne frega niente delle alici! Voglio sapere perché mi tratti così. Voglio sapere cosa devo fare per avere con te una relazione normale. Possibile che devi assumere sempre questo atteggiamento distaccato da principino, ogni volta che mi avvicino un po’?

–          Principino io? Ma se sono nato in piena periferia…

–          Hai dei modi di fare che a volte mi mandano in bestia!

–          Vedi? Sono una persona da evitare. Ti conviene stare a distanza di sicurezza…

Altra frase ad minchiam: vediamo chi la spunta…

–          Vaffanculo!

Risposta esatta. Me lo sono meritato. Anzi, c’è andata anche leggera… Mi aspettavo di peggio…

–          Su, Rossella, mi imbarazza anche un po’ parlarne con te… ci conosciamo da così poco tempo e le parole “relazione normale”, nella tua… nostra… situazione sono quantomeno azzardate.

–          Davvero? Per me una relazione normale è quando ci sono due persone che si amano, pensa un po’ come sono scema.

–          Sì, forse nelle canzoni di De André è così, ma la vita reale è un’altra cosa. Ci sono equilibri da rispettare e sentimenti da non calpestare. Mariti vecchi e nuovi da accudire e rassicurare e figli da crescere. La vita quotidiana da condividere, le mutande da lavare, la cena da preparare e le vacanze da organizzare: quella è una relazione normale.

–          Per favore, Luca…

–          No, per favore tu…

–          Cosa deve fare una donna per farti innamorare, eh? Ti costa così tanto rispondere?

–          Prima di tutto, deve essere libera: non voglio donne che abbiano la sindrome della crocerossina e non voglio più confrontarmi con mariti, che siano moglie-mamma dipendenti e che suscitino tenerezza. So di essere perdente in partenza. Un marito che suscita tenerezza, anche se manchevole, è un avversario che non dà scampo. Vince su tutto, anche sull’amore più intenso che si possa immaginare.

–          Lo pensi davvero?

–          Sì. Il mondo è pieno di uomini e donne mancati. L’uomo è spesso un bambinone egoista e capriccioso, che non è mai riuscito a diventare adulto e sta con una donna non per amarla ma per essere accudito. Ebbene, io sono autonomo, indipendente, non ho la sindrome di Peter Pan e non ho bisogno di assistenza. So farcela da solo e ho risolto da tempo i miei conflitti esistenziali e le dipendenze infantili da mia madre.

–          Bravo! Però, non ho capito questa storia della crocerossina: credi che io lo sia?

–          Sì, lo sei e lo sarai. E se c’è una cosa di cui sono certo, è che non voglio più essere la seconda scelta, il “vorrei, ma non posso”, quello che “se fossi libera”…

–          Chi ti dice che sarà così?

–          Chi me lo dice? Resti a dormire da me, stanotte?

–          Così? Su due piedi? Dovrei organizzarmi…

–          Dovrei, ecco cosa me lo dice. Il condizionale. Dovrei, potrei, farei, andrei… me lo dicono tutte quelle condizioni che inevitabilmente ci saranno tra le parole “stare” e “insieme”. Me lo dicono i weekend di desolazione e i sensi di vuoto, dopo aver fatto l’amore. Quando ti senti dire “è tardi, devo andare a casa a preparare la cena”. Me lo dice la ragione, che tiene a me più di chiunque altro, e non vuole farmi restare solo, in una stanza vuota, come un coglione.

–          Conosci talmente bene il copione da poterlo recitare a memoria, giusto?

–          Giusto!

–          Sottovaluti un aspetto: io non sono come la tua ex.

–          Non ne dubito. Tu non sei come lei, sei una donna eccezionale, ma le condizioni al contorno sono identiche. Poi, perdonami, ma mi hai parlato così tanto di tuo marito, delle sue doti e dei suoi difetti, da non poter vedere accanto a te nessun’altra persona…

–          Forse ho sbagliato a farlo..

–          Non hai sbagliato. La storia della moglie trascurata e insoddisfatta, del marito poco presente e dell’altro, l’amore sfiorato da rimpiangere, è vecchia… Quel tipo di amore là finisce sempre con una lei che si accorge troppo tardi di aver perso qualcosa di importante e si ritrova a rimpiangere i fiori appassiti al sole di un aprile ormai lontano.

–          Perché riduci sempre tutto ai minimi termini? Il messaggio della canzone dell’amore perduto non è esattamente questo.

–          No, infatti. Il messaggio è ben più devastante: lui sceglie la prima donna che incontra per strada. Per avere l’illusione di un amore nuovo. Per tutto ciò che non è riuscito ad avere. La verità è che sono diventato cinico e realista. So con certezza che gli amori difficili si rimpiangono e quelli facili si scelgono. È matematico. E io non voglio una donna per una scopata veloce: ho bisogno della sua presenza quotidiana.

–          Beato te, che hai queste certezze. Ti invidio.

–          Sai quando ti vengono tutte queste certezze? Quando sei disilluso e soffri come una bestia. Quando qualsiasi cosa perde senso, anche la vita. Quando impieghi anni per ricostruire un equilibrio e riempire i vuoti. Quando ti fai pena per quanto ti senti solo.

–          Credi che io ti farò questo?

–           È probabile.

–          Sai cosa penso? Secondo me, dovresti imparare a conoscere meglio le persone, prima di sbilanciarti coi giudizi.

–          Il mio è uno sbilanciamento preventivo. Parto prevenuto.

–          Parti presuntuoso.

–          Parto dal presupposto che potrei avere solo ruolo, nella tua vita: essere la ruota di scorta. Mi sembra riduttivo, per come sono fatto… Io voglio vivere la donna che amo e voglio essere vissuto, non rimpianto.

–          Chi ti dice che sarà così?

–          Me lo dice l’intuito. Me lo dice l’esperienza. Me lo dice il mio desiderio di avere vicino un compagna vera, non un’amante. Non potrei mai viverti interamente, e questo non posso permettermelo.

–          Sei veramente uno stronzo! E io sono una cretina. Una cretina innamorata.
Clic.

–          Dai, spegni la luce che mi vergogno.

–          Rossella…

–          Ma che fai, piangi?

–          … è il fumo.

–          Cretino! Tu odi il fumo.

–          …

–          Cazzo!, sono le due passate. È tardissimo!

–          Rossella, non andartene, restiamo abbracciati ancora un po’.

–          Mi andrebbe, Luca, lo desidero tantissimo, ma è veramente tardi. Devo andare.

–          Aspetta…

–          La prossima volta ci organizziamo meglio, te lo prometto. Scappo! Ciao amore mio…

–          Ciao, Rossella.

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